
Robert William Chambers (1865 – 1933) è stato un artista e scrittore di narrativa americano. Iniziò scrivendo nei generi “weird” e horror gotico, per poi cimentarsi con la narrativa romantica e i romanzi d’avventura, prima di tornare allo stile originale. È noto soprattutto per la sua incredibile raccolta di racconti “The King In Yellow” (1895), un volume che avrebbe influenzato H.P. Lovecraft e altri scrittori. I racconti contengono elementi di fantasy, soprannaturale, fantascienza e horror gotico. “Pompe Funèbre” è un racconto scritto da Robert William Chambers appartenente alla raccolta “The Mystery of the Election” (1897), che racconta le attività dell’Imperatore Purpureo nella Foresta di Sexton. La narrazione rivela che l’Imperatore Purpureo fu creato da Dio per venire al mondo a custodire tutti i segreti dell’umanità e per vivere e morire in solitudine; rivela anche che affronta molti problemi e sfide in questa foresta, tra cui sopravvivere alle trappole mortali tese dalle altre creature che la abitano (Wikipedia).
ROBERT WILLIAM CHAMBERS: “POMPE FUNEBRI”
Quando vidi per la prima volta lo scarabeo sepolcrale, era immobile dietro una pietra. Subito si spostò di nuovo, fermandosi a volte e girando a destra e sinistra con quel movimento nervoso e a scatti che mi fa sempre rabbrividire.
Il suo percorso si estendeva attraverso il muschio rovinato e le foglie secche sparse in strati umidi lungo la riva del piccolo ruscello marrone, e io, chiedendomi quale potesse essere la sua meta, lo seguii, passando silenziosamente sopra la muffa della foresta in decomposizione. Una o due volte mi sentì, perché lo vidi fermarsi di colpo, una macchia nera e arancione nei boschi cupi; ma ricominciò sempre da capo, affrettandosi a volte come se i morti potessero diventare impazienti. Perché lo scarabeo che ho seguito attraverso la foresta di novembre, era una di quelle minuscole creature che Dio ha mandato a seppellire i piccoli esseri che muoiono soli al mondo. Impresario di pompe funebri, sacrestano, mamma e becchino in uno, questa cosa, vestita di nero e arancione, seppellisce tutte le cose che muoiono inascoltate dal mondo. E così lo chiamano: questo piccolo scarabeo in nero e arancione, il “sacrestano”.
Come si affrettava! Alzai lo sguardo nel cielo grigio dove rami inceneriti, intrecciati, ondeggiavano in venti misteriosi, e sentii le foglie secche tintinnare sulle cime degli alberi e il tonfo delle ghiande sul terriccio. Un cupo uccello mi scrutò da un mucchio di cespugli, poi corse a picchiettare sulle foglie.
Lo scarabeo aveva raggiunto un po’ di terra smossa e stava grattando su stecchi e cunette verso un ciuffo marrone di erba appassita che stava sopra. Non osavo aiutarlo; inoltre, non riuscivo a toccarlo, era così orribilmente assorbito dalla sua missione. Mi fermai per un momento. L’impazienza di questa creatura viva di trovare il suo morto e manipolarlo; l’odore di morte e decadenza in questo piccolo mondo forestale, il luogo dove avevo aspettato la primavera quando Lys si mosse tra la ginestra in fiore, cantando come un tordo nel vento, tutto questo mi turbò, e rimasi indietro.
Lo scarabeo si arrampicò sull’erba morta, alzando gli occhi bruciati a ogni ondata di vento. Il vento portava con sé tristezza, il profumo di alberi senza vita, il fruscio vago di gemme di ginestra, gialle e secche come fiori di carta. Lungo il torrente, piante acquatiche in decomposizione, bruciate e rovinate dal gelo, giacevano ammassate sopra il fango. Vidi i loro steli pallidi ondeggiare come vermi nella corrente indolente.
Lo scarabeo aveva raggiunto un ceppo ammuffito, e ora sembrava indeciso. Mi sedetti su un albero caduto, umido e sbiancato, che si sbriciolò sotto il mio tocco, lasciando un odore stantio nell’aria. Un corvo si alzò pesantemente sopra la testa e svolazzò nella brughiera; il vento scosse i duri pruni neri; una goccia di pioggia mi toccò la guancia. Guardai nel ruscello alla ricerca di qualche segno di vita; non c’era nulla, tranne una creatura informe che avrebbe potuto essere un verme cieco, che giaceva a pancia in su sul fondo del fango. L’ho toccato con un bastone. Era rigido e morto. Il vento tra le false gemme di ginestra simili a carta riempiva i boschi di un fruscio di seta. Allungai la mano e toccai un fiore giallo; sembrava un elicriso su un cuscino funebre.
Lo scarabeo si era spostato di nuovo; qualcosa, forse una tela di ragno ammuffita, si era attaccata a una gamba e la trascinò mentre lavorava attraverso il legno. Qualche topolino lacerato da una donnola o da un gheppio, qualche talpa schiacciata, qualche minuscolo mucchio morto di pelliccia o piuma, giaceva non lontano, colpito da Dio o dall’uomo o da una creatura simile. E lo scarabeo lo sapeva, come, Dio lo sa! Lo sapeva e si affrettò verso il suo appuntamento con i morti.
Il suo percorso ora girava lungo il bordo di un’insenatura di marea del fiume Groix. Abbassai lo sguardo sull’acqua grigia attraverso i rami senza foglie e vidi un piccolo serpente, con la testa sollevata, che nuotava da un grumo sommerso di erbacce nell’ombra di una roccia. C’era anche un chiurlo, da qualche parte nella palude nera, il cui cupo e persistente richiamo malediceva il silenzio.
Mi chiesi quando lo scarabeo sarebbe volato; perché poteva volare se voleva; è solo quando i morti sono vicini, molto vicini, che si insinua. La ragnatela sporca e raggrumata era ancora attaccata a lui e ostacolava il suo procedere. Una volta vidi un piccolo ragno marrone e bianco, striato come una zebra, che correva rapidamente sulle sue tracce, ma lo scarabeo si voltò e sollevò le sue due zampe anteriori a forma di bastoncino in un orribile atteggiamento implorante che nascondeva ancora qualcosa di minaccioso. Il ragno indietreggiò e scivolò sotto una pietra.
Quando qualcosa che sta morendo, malato e vicino alla morte, cade sulla faccia della terra, qualcosa si muove nel blu sopra, galleggiando come su un fossato; poi un altro, poi altri. Questi granelli che spuntano dall’insondabile volta azzurra sono mosche ingioiellate. Vengono ad aspettare la Morte. Lo scarabeo organizza anche l’incontro con la Morte, ma non aspetta mai; la Morte deve arrivare per prima.
Quando il forte trifoglio è splendente con le ali dipinte, quando le api ronzano e vagano tra le spine bianche, o passano come rapide pallottole che cantano, lo scarabeo spalanca le sue ali nere e arancioni e ronza attraverso il trifoglio con le api. La morte in un giardino profumato, i segni della peste su un bel petto giovane, la bandiera grigia della paura di fronte a chi avvolge le braccia della Distruzione, lo scarabeo che si arrampica nel grembo della primavera, piegando le sue eleganti ali, spiegandole per scimmiottare il ronzio delle api, passando sopra dolci cime di trifoglio verso la carne putrida che lo evoca: queste cose esistono e ci saranno fino alla fine.
Lo scarabeo stava correndo ora, correndo veloce, trascinando la ragnatela su ramoscelli e fango. Il bordo del bosco era vicino, perché potevo vedere il grano invernale, come uno scenario verde in un teatro, che si estendeva per miglia attraverso le scogliere, grezzo come erba dipinta. E mentre strisciavo attraverso il fragile margine della foresta, vidi una figura distesa a faccia in giù nel grano: una ragazza dalla figura snella, afflosciata, immobile. Lo scarabeo le sfrecciò sotto il seno.
Poi mi buttai accanto a lei, gridando: «Lys! Lys.” E mentre piangevo, la pioggia gelida invase la brughiera, e gli alberi sbatterono i loro rami rigidi fino a quando l’intera foresta spettrale si agitò e danzò, e il vento ruggì tra le scogliere. E, attraverso la Danza della Morte, Lys tremò tra le mie braccia, e singhiozzò e si aggrappò a me, mormorando che l’Imperatore Purpureo era morto; ma il vento strappò le parole dalle sue labbra bianche e le scagliò attraverso il mare, dove il fulmine invernale sferzava le altezze di Groix. Poi la paura della morte si placò nella mia anima e la sollevai da terra, tenendola stretta. E vidi lo scarabeo, appena oltre noi, correre attraverso il terreno e cercare rifugio sotto una piccola allodola morta, dalle ali rigide, fangosa, sdraiata da sola sotto la pioggia.
Nella tempesta, sopra di noi, un uccello si librava cantando sotto la pioggia. Ci passò accanto due volte, cantando ancora, e mentre passava di nuovo vedemmo che l’ombra che gettava sul mondo era più bianca della neve.
[Traduzione di Paolo Giovannetti, ottobre 2025)
