
Richard Marsh (all’anagrafe Richard Bernard Heldmann, Londra 1857- Sussex 1915) è stato uno degli autori popolari inglesi più venduti della fine dell’Ottocento e dell’inizio del Novecento. Dal momento in cui il suo primo lavoro, sotto lo pseudonimo, apparve nel 1888, Marsh misurò accuratamente i gusti del suo pubblico. I suoi primi lavori rientrano principalmente nei generi gotico e poliziesco, ma alla fine del secolo si erano trasformati nella sensazione e nella narrativa romantica. Oltre a settantasei volumi pubblicati da sedici diversi editori, il prolifico e professionale Marsh pubblicò romanzi brevi e seriali in una serie di giornali regionali e riviste di narrativa settimanali e mensili, il più importante dei quali era lo Strand Magazine.
Sebbene sia famoso soprattutto per il suo classico romanzo di orrore soprannaturale, “The Beetle (1897) e “The Goddess: A Demon“, il miglior lavoro di Richard Marsh si trova spesso nei suoi racconti di cui abbiamo diverse raccolte. E in “The Seen and the Unseen” (London: Methuen, 1900)”, è al suo meglio. Questa è una raccolta di dodici racconti di natura soprannaturale e perturbante. Ci sono fantasmi reali, falsi fantasmi, persone comuni afflitte da allucinazioni, poteri di chiaroveggenza ed esperienza extracorporea, e casi di semplice imbroglio. Marsh possiede una grande capacità di raccontare i fatti con dovizia di particolari e ispirando nel lettore la voglia di conoscere il seguito ma nello stesso tempo esprime una visione umoristica delle stranezze dei suoi personaggi. Una produzione di racconti praticamente ancora sconosciuta in Italia.
“A Psychological Experiment” è il primo racconto che apre la raccolta: È un racconto un po’ horror e un po’ weird, sicuramente molto inquietante. Ci sono un omicidio, animali striscianti, una misteriosa scatola, un assassino e la sua vittima. In effetti quello che avviene è un esperimento psicologico, come dice il titolo, e sia il risultato che soprattutto lo svolgimento sono davvero interessanti. L’angoscia è palpabile, l’orrore è strisciante come i rettili che sbucano dalla tasche di un misterioso signore barbuto.
“The Photographs”, dove le protagoniste sono, appunto, delle strane fotografie fatte in una prigione. Un prigioniero viene fotografato per gli archivi della polizia, ma insieme a lui nelle foto sembra esserci sempre una donna che però, come testimoniano gli altri presenti alla sessione fotografica, non era assolutamente nella stanza quando sono state fatte le foto. Un fantasma? Anche questo un racconto inquietante seppur venato di un certo romanticismo.
A seguire, “A Pack of Cards” e “The Violin: nel primo racconto citato tutto ruota intorno a un mazzo di carte destinato a far vincere sempre il proprietario: evidentemente truccato, c’è però di mezzo anche un fantasma… forse. Un fantasma compare anche nel secondo racconto, dove un violino viene suonato da una persona che non si vede: suona sempre lo stesso pezzo, scritto da un amico del protagonista, il quale crede che l’amico scomparso sia tornato e stia appunto suonando il violino. Seguono altri otto racconti, in cui vi è sempre qualcosa di inquietante e di sinistro nella maggior parte di essi. Compare il sovrannaturale, ma compaiono anche semplici vicende della vita che la rendono a volte strana e incomprensibile: ricorda ciò qualcosa? Forse le più recenti storie di “The twilight zone”?
[fonti consultate: “City, University of London Institutional Repository”; “Victorian Fiction Research Guide 35 Richard Marsh” by Minna Vuohelainen, Canterbury Christ Church University, UK 2009]
