
Italo Calvino, (Santiago de Las Vegas de La Habana, 15 ottobre 1923 – Siena, 19 settembre 1985) un grande narratore, riconosciuto come il maggiore autore della seconda metà del ‘900. Oggi rendiamo omaggio al centenario della sua nascita: Sterminata la raccolta dei suoi scritti, dai romanzi, ai saggi letterari, ai numerosi racconti, molti dei quali scritti nel periodo giovanile. Vogliamo rendergli qui omaggio con un racconto scritto in “raccontini giovanili” (1943-44): “Il Lampo“
In questa mini-storia, Italo Calvino racconta la vicenda di un uomo che all’improvviso, mentre cammina in mezzo alla strada, è colto da una sensazione che lo pervade: vede il mondo sotto una luce nuova, raggiunge per pochi secondi un nuovo tipo di consapevolezza, vede le cose che lo circondano per come sono, scorge la follia e l’insensatezza del mondo e della vita propria e delle persone che gli stanno attorno. Una vertigine di coscienza che presto scompare, appunto come un lampo, per tornare alla “normale” percezione delle cose.
“Mi capitò una volta, a un crocevia, in mezzo alla folla, all’andarivieni. Mi fermai, battei le palpebre: non capivo niente. Niente, niente del tutto: non capivo le ragioni delle cose, degli uomini, era tutto senza senso, assurdo. E mi misi a ridere.
Lo strano era per me allora che non me ne fossi mai accorto prima. E avessi fin’allora accettato tutto: semafori, veicoli, manifesti, divise, monumenti, quelle cose cos’ staccate dal resto del mondo, come se ci fosse una necessità , una conseguenza che le legasse l’una all’altra.
Allora il riso mi morì in gola, arrossii di vergogna. Gesticolai pcr richiamare l’attenzione dei passanti e – Fermatevi un momento! – gridai – c’è qualcosa che non va! Tutto è sbagliato! Facciamo cose assurde! Questa non può essere la strada giusta! Dove si va a finire?
La gente mi si fermò intorno, mi squadrava, curiosa. Io rimanevo lì in mezzo, gesticolavo, smaniavo di spiegarmi, di farli partecipi del lampo che m’aveva illuminato tutt’a un tratto: e restavo zitto. Zitto, perché nel momento in cui avevo alzato le braccia e aperto bocca, la grande rivelazione m’era stata come ringhiottita e le parole m’erano uscite così, per via dello slancio.
Ebbene? – chiese la gente – cosa vuol dire? Tutto è al suo posto. Tutto va come deve andare. Ogni cosa è conseguenza d’un’altra. Ogni cosa è ordinata con le altre, non vediamo niente d’assurdo o d’ingiustificato! E io rimasi lì, smarrito, perché alla mia vista tutto era tornato al suo posto e tutto mi sembrava naturale, semafori, monumenti, grattacieli, rotaie, mendicanti, cortei; e pure non me ne veniva tranquillità, ma tormento. – Scusate – risposi. – Forse ho sbagliato io. M’era sembrato. Ma tutto è a posto. Scusate – e mi feci largo tra i loro sguardi irti.
Pure, anche adesso, ogni volta (spesso) che mi di non capire qualche cosa, allora, istintivamente, mi prende la speranza, che sia di nuovo la volta buona, e che io torni a non capire più niente, a impossessarmi di quella saggezza diversa, trovata e perduta nel medesimo istante.“
